MAZINGA Z

Silenzio innaturale.
Davanti a me c’è Mazinga Z.
È seduto, e guarda il mondo che passa fuori dal finestrino; ha il gomito appoggiato al bordo, e sostiene la testa con la mano; ha un’aria profondamente impensierita.
Chissà a chi pensa; magari è innamorato di Venusian, o magari ha finito le munizioni, o l’energia spaziale, sempre che ne avesse mai avuta.
Purtroppo questo non è il momento per pensare a lui: sta arrivando il controllore e l’allerta vola immediatamente al massimo.
Mentre si avvicina parte “fuori scena” un ritmo tipo tam-tam della foresta, ma più… accentuato, più “thriller”. Nella mia mente vedo con chiarezza un gigante di pietra che avanza in una foresta; i suoi passi ritmano la mia crescente agitazione.
Il controllore è vestito come il capotreno del Galaxy Express 999, ma non ha quell’orribile non-viso, con gli occhi gialli tondi luminosi e tutto il resto immerso in un’oscurità siderale.
A dire il vero non sono sicuro di che lineamenti abbia, perché non lo vedo in faccia, ma so con certezza che non è come il capotreno del Galaxy Express.
Mentre ragiono giunge al mio cospetto, e mi chiede secco “biglietti”.
Io il biglietto ce l’ho, ma questa è una trappola, ne sono profondamente sicuro; non devo mostrargli il biglietto, oppure…beh non so cosa succederebbe, ma è tutto così chiaro, semplice: lui vuole incastrarmi, ed io non ho altra difesa all’infuori dell’attacco.
O della fuga.
Dopo alcuni secondi di silenzio ed immobilità, colgo il controllore di sorpresa: mi alzo di scatto e mi getto fuori dal treno, rompendo lo spesso doppio-vetro grazie alla violenza e la velocità del mio salto.
Il treno stava viaggiando a tutta velocità, ma io sono molto abile, e riesco ad atterrare indenne e perfettamente in piedi, in una piazzetta di paese.
Al centro c’è una fontana, e una giovane lavandaia sta lavando i panni.
Non le vedo il viso, ma sono sicuro che il suo non è un normale viso di donna.
È facile confermare le mie supposizioni: mi basta avvicinarmi al bordo della fontana ed attendere qualche secondo affinché lei giri la testa verso di me.
Porta una maschera, anzi no: il suo viso reale *è* una maschera di ebano deformata nei lineamenti quasi ad imitare una befana.
I suoi occhi sono gialli e luminosi.
L’aspetto è inquietante, ma il fatto che sia una lavandaia mi tranquillizza.
Riesco perfino a soffermarmi sul tratto di coscia che sbuca dai suoi vestiti, e mi passa per la testa qualche pensiero piccante.
Ma cosa sto facendo? Sono un agente segreto, non è il caso di “lasciarsi coinvolgere” da una coscetta nuda.
Devo compiere la mia missione, è ora di agire.
La lavandaia non può essere lì per caso: sa certamente qualcosa.
Questa volta sono io ad essere colto di sorpresa; è lei a fare la prima mossa, e mi domanda con la stessa aria di un barista attempato: “sei qui per il Kowestfrl?”
Non credo di avere ricevuto bene.
“Prego?”
“Hai capito benissimo. Ti ho chiesto se sei qui per il PWATRONteubl”
No, un attimo, calma: io sono un agente segreto rispettabile e pericoloso; sfottermi non è salutare.
“Allora, come mai non rispondi? Eppure dovresti essere tu. Non sei tu che cerchi il Gnaoweuià?”
Qualcosa non mi quadra. Meglio stare al gioco.
Con aria serissima rispondo “Si, sono io. Mostrami dov’è. Ho un…” messaggio da dargli? E se fosse un oggetto? E se fosse un gatto, o un cane, o un pesce rosso? Meglio stare sul vago “…una certa fretta.”
Di fronte alla mia fretta non si scompone più di tanto; estrae i suoi 2-3 panni dalla fontana, li ripiega e li mette – fradici – nella sua cesta.
Poi si incammina; non è necessario invitarmi esplicitamente a seguirla.
Scorre attorno a me un secondo di buio, come un lento cambio di scena, dopodiché mi ritrovo ancora intento a seguirla mentre oltrepassa veloce le bancarella di un mercato piccolo, ma pieno di gente e di merci in grande varietà.
Passando vicino alla bancarella della frutta e verdura, scorgo una cassetta di arance belle, sane, tonde e grosse quasi quanto meloni.
Ne comprerò 3-4, mi torneranno sicuramente utili come munizioni: il salto dal treno mi ha “alleggerito” dell’artiglieria pesante che normalmente mi porto appresso.
Guardo attentamente la cassetta, alla ricerca dei frutti più belli.
Allungo la mano per prenderne una, ma il fruttivendolo mi apostrofa secco: “il guanto.”.
“Cacchio, è vero! Mi scusi!”
Non so dove siano i guantini trasparenti usa-e-getta…allora mi tolgo i pantaloni e li uso come “presine” per afferrare le arance.
Scelgo questa, questa, questa…questa. Quant’è?
Metto tutto nei pantaloni, facendone un fagotto che mi carico in spalla e mi avvio verso…verso dove? La lavandaia è sparita in mezzo alla gente, e io son rimasto senza niente da fare.
Sto mestiere di agente segreto mi ha un po’ stancato.
Esco dal mercato, oltrepasso le case del paese senza mai girare, sempre dritto, passando in mezzo ai cortili privati, agli orti… finché non mi ritrovo in piena campagna.
Mi fermo nel centro esatto di un prato; con l’abilità ninja di un agente segreto lancio i pantaloni in aria, e questi si aprono, si trasformano in una normale tovaglia di stoffa a quadri grandi bianchi e rossi.
Atterrano sull’erba, e le arance ci cadono sopra senza spiaccicarsi.
In mano ho una bottiglia di vino (ma…da dove…come…!??) e la appoggio sulla tovaglia; mi siedo a gambe incrociate, e guardo queste 4 belle arance.
Proprio mentre penso “ci vorrebbe qualcosa per mangiarsele col vino” una mano appoggia sulla tovaglia un filone di pane di quelli buoni con la crosta croccante.
Guardo in su, è la lavandaia, e la sua maschera di ebano mi sorride.
Le sorrido, le do un bacio sulla guancia, spezzo un pezzo di pane, verso un bicchiere di vino, mentre lei sbuccia le arance.
Il mio viso è una maschera di nero ebano, ed i miei occhi gialli e luminosi guardano il sole arancione che piano, fra le foglie di una foresta, va a dormire.