Capitomboli ed altri impacci provvidenziali

Oramai ne aveva la certezza, era in possesso di un insolito potere.
Nel momento stesso in cui realizzò questo pensiero sentì avvamparsi il viso di un rosso fuoco tanto che gli occhi iniziarono a lacrimarle, così, per timore che qualche passante lo notasse, accelerò il passo imboccando il vicolo che portava a quella che lei amava definire la sua “Isola Felice”.
Era legata a quell’angolo di cielo come un aquilone alla mano sapiente che ne tiene il filo trovandovi rifugio ogniqualvolta s’imbatteva in correnti dall’aria birichina che, di tanto in tanto, amavano prendersi gioco del suo fusto esile e precario.
In quelle occasioni, quasi fosse un disco rotto, ripeteva fra sé e sé “per quante volte son caduta altrettante mi son risollevata” e per il tramite di questa sua ostinata nenia nelle sue palpebre socchiuse pareva calare un malinconico sipario dove fluivano lente e impastate le immagini di quando, in sella alla sua prima compagna di sventura, tentava goffamente di improvvisare pedalate senza l’aiuto delle fidate rotelle.
In fondo, allora come ora – amava riflettere – era solo una questione di equilibrio, pena qualche sbucciamento di ginocchia e livido. Avrebbe proseguito con la conta delle cicatrici, ricordo di quel tempo, se non si fosse d’improvviso ritrovata a capitombolare per terra sbattendo la testolina contro un sasso.
Prima ancora di capire l’accaduto era rimasta supina sull’erba per qualche istante, intontita dal pulsare crescente della tempia, quindi aveva deciso di aprire gli occhi alla ricerca di un particolare che le fosse familiare.
Ciò che vide la lasciò senza fiato per alcuni minuti; dimentica del proprio respiro iniziò animatamente a singhiozzare al fine d’incamerare aria dalla bocca già spalancata per lo stupore e l’apnea.
Una nuvola multiforme di centinaia di coccinelle impazzite stava ronzando allegramente all’altezza della testa in modo apparentemente sconclusionato ma bastò osservarle meglio per accorgersi che, in realtà, quel loro andirivieni presentava un “disegno” ben preciso: era in scena un mirabolante spettacolo danzante che riproponeva le gesta di un indomito acrobata salterino intento a creare a mezz’aria bizzarre piroette col suo trapezio dondolante.
Ad ogni slancio un volteggio più ardito lasciava presagire un’imminente caduta. Caduta, invece, puntualmente scongiurata dal sopraggiungere di un inaspettato quanto propizio alito di vento che, rallentando l’andatura del trapezio, concedeva all’acrobata quelle frazioni di secondo necessarie per ultimare le estrose piroette riafferrando sincronicamente la barra della salvezza.
Un enorme sorriso ebete sopraggiunse ad illuminarle il volto e tutto ad un tratto, finalmente, comprese.
Restò distesa a godere pienamente dello spettacolo quindi si rizzò in piedi e leggera, come sollevata da un pesante fardello, riprese nuovamente a camminare, sorridendo.


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