BIDONE ALL’OPERA

Tira un vento fortissimo, soprannaturale.
Le automobili ruzzolano via come cartocci del latte vuoti, i vetri di un palazzo di fronte a me vanno in frantumi per la pressione, un’auto ruzzolando rimbalza sul terreno come un atleta di salto in alto e si infila dentro un ufficio al 2° piano.
La gente sta urlando per lo spavento, perduta in mezzo all’aria che ulula in preda a una pena senza confini, e cerca disperatamente di rimanere aggrappata a…qualsiasi cosa possieda un appiglio.
Questo è più o meno quel che immagino ascoltando la provenienza delle loro urla, perché le persone sono difficili da scorgere: vedo solo macchioline avvolte in cappotti e sciarpe che ondeggiano come bandierine appese alla base dei palazzi e dei pali della luce.
Io sono l’unica persona in tutta la città, a quanto pare, che non subisce gli effetti del vento.
Ah no…c’è anche un TIR lunghissimo che sopraggiunge alle mie spalle, e mi supera proseguendo dritto su quella che sembra essere la strada maestra della città; non si sposta lateralmente nemmeno di un millimetro, sembra che stia viaggiando su rotaie!
Poi così, senza segnali d’inizio della fine, il vento cessa violentemente. La sensazione è la stessa che provano gli acari quando un bimbo mette la mano davanti alla bocca dell’aspirapolvere: improvvisamente…STOP!
I piedi della gente non fanno a tempo a toccare terra, ed il vento riprende, ma stavolta la direzione è esattamente opposta, ed è solo una brezza lieve ma costante.
Il vento mi spaventava, ma la brezza mi incuriosisce: voglio vedere da dove proviene.
È facile capirlo: tutti i pezzettini di carta e gli oggetti leggeri che prima filavano come proiettili, ora stanno procedendo uniformemente ma a tentoni, come un branco di ubriachi che escono dallo stadio, tutti verso il vicolo che parte poco più avanti, sulla mia destra.
È lì che tutto ha origine.
Giusto il tempo di iniziare a correre, poi la scena cambia e mi ritrovo nel vicolo, di fronte a un bidone dell’immondizia; un comunissimo bidone dell’immondizia, di quelli che hanno un unico grande coperchio che si apre pestando una leva con il piede.
È grigio come tutti, ha le ruote come tutti e… sta inspirando.
Tiene il coperchio leggermente aperto e tutta l’aria che entra nel vicolo giunge fino lì, e si perde dentro la sua…“bocca”, se così possiamo chiamarla.
Ho appena capito il motivo della tempesta di vento che c’era prima e della brezza che sta soffiando in questo momento, ma non ho tempo per fare nient’altro: il bidone ricomincia a soffiare, ma non sta solo soffiando, anzi, si direbbe proprio che…canta!
Sta cantando un’opera lirica a squarciagola, e il suono è così forte che ogni rumore è sordo in confronto alla sua voce. Il vento che spostava tutte le cose era causato dalla sua potentissima voce.
Penso tutto questo durante la frazione di secondo in cui volo verso il muro opposto del vicolo, poi batto la testa e in un attimo non vedo più nulla: sono svenuto.
Nel lasso di tempo in cui il bidone riprende aria e la brezza ricomincia ad entrare nel vicolo, io mi sveglio e posso di nuovo meditare sull’evento eccezionale di cui sono testimone.
Penso che è un disgraziato, che con la sua voce sta scassando le automobili, i vetri e gli uffici di tutta la città, ma non faccio in tempo a trovare soluzioni, perché il canto ricomincia ed io volo di nuovo contro il muro, battendo la testa e svenendo una seconda volta.
Per innumerevoli volte ancora ricapita la scena di me che mi rialzo e del bidone che ricomincia a cantare, facendomi volare via e battere la testa, tanto che ci faccio quasi l’abitudine: la mia vita è cambiata, ora vivo nei brevi istanti in cui mi riprendo dal trauma cranico, e la mia vita consiste nel pensare a quel bidone, alla sua voce, ed alla città che sta andando in malora per causa sua.
Così avanti, risveglio dopo risveglio, tra svenimenti, gente che urla, cose che volano via, e cartacce che incespicano tornando indietro verso il vicolo…i miei risvegli diventano attimi, i miei svenimenti sono il nero che sopraggiunge ad ogni battito di ciglia.
Tutto così, all’infinito, finché all’improvviso, dopo uno dei mille risvegli, capisco tutto: ci vuole la naftalina!
Una pallina da naftalina da dare in pasto al bidone risolverà tutto.
L’idea geniale regala inspiegabilmente tempo al mio risveglio e ferma l’attimo allungandolo infinitamente, tanto che il momento in cui il tifone ricomincerà a soffiare tarda ad arrivare.
Presto, prima che ricominci a cantare! Appena aprirà bocca gli lancerò la pallina in gola e poi… tutto si risolverà!
Ma dove trovo una pallina di naftalina, ora?
Mi guardo attorno e…vedo una bambina seduta accanto al bidone.
È una piccola fiammiferaia, ma è vestita da Cappuccetto Rosso; è seduta sul bordo del marciapiede proprio lì accanto al bidone dell’immondizia, e tiene un cesto sulle ginocchia, pieno di scatole di fiammiferi coperte con un panno a scacchi. Insomma, sembra un cesto per la merenda!
È una fiammiferaia e vende fiammiferi, ma la cosa non mi turba affatto, anzi le chiedo direttamente senza pensarci due volte se ha per caso della naftalina.
Dice di no con fare dispiaciuto, ma tutto a un tratto un’idea le illumina gli occhi: prende una scatola di fiammiferi, la apre, li stacca tutti quanti dal legnetto in cui sono stati intagliati, li unisce tutti assieme in un unico mazzetto di fiammiferi, tenendoli stretti con le dita, e me li porge.
Nel momento in cui li afferro, diventano una pallina di naftalina, anzi a dire la verità è un cubetto più che una sfera, ed è trasparente, come fosse fatto di plexiglass.
Sembra una zolletta di zucchero caramellato!
Ecco, è il momento: Il bidone ha smesso di inspirare aria, e tra un istante spalancherà la bocca di scatto!
Nell’istante in cui apre la bocca proviene dalla sua gola la prima semibiscroma della potentissima nota dell’opera lirica che stava per cantare, ma io sono svelto, preciso ed inopportuno come una scimmia che ruba le noccioline ad un bambino: con un gesto tra indice e pollice faccio saltare il cubetto di naftalina in gola al bidone dell’immondizia.
Giusto il tempo di volare dentro e invece di quell’inarrestabile frastuono, dalla gola del bidone esce solamente un suono strozzatissimo: GGGGGGGH!!!
Poi più nulla: il bidone rimane fermo lì a bocca mezza aperta per un istante che dura così tanto che alla fine, malgrado fosse fonte di tanti guai, mi viene pure preoccupazione che stia male…
Ancora un attimo e SBAM! Richiude il coperchio, poi più nulla.
Rimango lì nel silenzio più totale a pensare alcuni secondi, ad attendere una sua mossa, ma non c’è niente da fare: mi sa proprio che è schiattato.
Vince la curiosità: chissà come faceva un bidone dell’immondizia ad avere una voce tutta sua, ed una capacità polmonare così sconfinata.
Apro il coperchio e guardo dentro: vuoto!
Non ci sono sacchi dell’immondizia né cartacce gettate dai passanti: è semplicemente sporco e vuoto.
Sto per richiudere quasi in preda alla delusione, quando nel baricentro esatto del fondo del bidone scorgo qualcosa: è difficile da distinguere, perché stranamente lì dentro è tutto molto più buio di quanto non dovrebbe essere se fosse un normale bidone col coperchio alzato.
Non capisco ancora cos’è esattamente, ma sembra rossastro, poi ad un tratto, mi guarda: vedo due occhietti bianchi e timidi che mi fissano da laggiù.
E vedo delle corna, e una coda appuntita, ed un forcone.
È alto al massimo come una matita, è un po’ più magro, o per lo meno è più lungo, ma… assomiglia come una goccia d’acqua al diavoletto dall’aria innocente di FreeBSD.


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